Saluto di don Titino alla Parrocchia di Prestino (Bollettino parrocchiale del 12 settembre 2004)
Nel momento di salutarci, permettetemi di parlarvi un po’ di me, giacché, come insegnava la mia Mamma, è bello conoscere la storia delle persone, sapere da dove veniamo, chi ci ha preceduto.
Sono nato a Chiavenna il lunedì 24 luglio 1922, al mattino presto. Ero il secondogenito.
La casa dove sono nato si affacciava sulla strada all’imbocco della Valle San Giacomo, chiamata ora Valle Spluga.
Raccontava la mia Mamma che il giorno precedente, domenica, c’era stata la commemorazione del centenario del Passo dello Spluga. Il papà non era mancato a quell’appuntamento di festa. E si era fatto i trentadue chilometri di salita, sulle strade di allora, con una bici da corsa di allora!
Al battesimo, la domenica seguente, 30 luglio, mi fu imposto il nome Giambattista Felice (i nomi dei Nonni). Ma non mi chiamarono mai così. Fui “Titino”, dal primo giorno. Poi lo ridussero a “Tito”, con il quale, penso, mi ricorderanno.
Fui battezzato allo stupendo Fonte della chiesa di San Lorenzo. Una grande vasca di pietra ollare, con scolpita in rilievo una scena battesimale. Porta la data del 1156. Mi battezzò il sacerdote Giovanni Paini.
I miei genitori si erano sposati il lunedì ventisette settembre l920. Il papà Antonio José, era nato a Buenos Ayres il 6 gennaio 1894. La sua famiglia -“figlia dell’emigrazione”- rientrò in Italia una decina di anni dopo. Si diplomò geometra ed esercitò questa professione. Nel 1914 fu chiamato alle armi. Tornò a casa nel 1919, al termine della Guerra. Con il grado di tenente del Genio minatori.
La mamma, Ida Buzzetti, era nata a Chiavenna il 16 agosto 1895, penultima di dodici figli.
Si diplomò maestra elementare e insegnò per diversi anni in comune di Colico, frazione Curcio.
Siamo nati in dieci: Rosanna, 1921; io, 1922; Stefanina, fine 1923; Giuliana, 1925; Lucio, 1928, che morì dopo appena due settimane; Virgilio che divenne prete, 1929; Antonia, 1930; Andreina, 1932; Luigi, 1935; Renata 1939, quando già l’Europa era in guerra. Attualmente siamo rimasti in sei.
Sono diventato prete il quindici giugno 1946, ordinato dal Vescovo Alessandro Macchi, e fui destinato vicario a Tirano. C’era un Oratorio da far rivivere dopo la tempesta della Guerra. Ma dopo neanche un anno mi chiamarono a Como all’ufficio amministrativo della Diocesi, complice il diploma di geometra che avevo conseguito prima di entrare in Seminario.
Confesso che non era ciò che io avrei desiderato. Tuttavia la Provvidenza pensò a trovarmi spazi per una attività sacerdotale. Ebbi residenza in Valduce ove collaborai con il Cappellano per quasi quindici anni. Fui incaricato di seguire gli Scout, mi affidarono alcune ore di insegnamento della Religione al “Caio Plinio”, incarico affascinante durato ventitre anni.
Il segreto desiderio della mia risposta alla chiamata al Sacerdozio era di dedicarmi ai giovani. E il Signore mi ha accontentato.
Nell’anno diciannovesimo di sacerdozio, fui inviato, parroco, a Prestino.
Mi ero occupato di questa periferia per conto della Curia per definire i confini della nuova parrocchia. Lontano da me il pensiero che ne sarei diventato il primo parroco.
Ho già raccontato molte cose nei bollettini passati dell’avvio di questo ministero, della “chiesa” provvisoria, delle diverse attività. Come pure del cammino per realizzare il definitivo complesso parrocchiale.
Ho cominciato la sera del primo venerdì del mese, giorno che parla dell’amore dcl Signore per noi (iniziando così una tradizione).
È stato un grande segno dell’amore di Dio il partire di una nuova Comunità, con un ambiente (sia pure modesto e non del tutto adeguato) per celebrare l’Eucaristia, annunciare il Vangelo, incontrare la gente, vivere vicino e condividere tante cose con i giovani, i ragazzi.
Il primo venerdì del mese è stato, da quella sera in poi. un punto di riferimento. Negli ultimi tempi molti se ne sono scordati. Auguro a don Italo di riprendere in modo forte questo appuntamento soprattutto con i giovani.
Ricordo che la piccola chiesa fu arredata al meglio per quel primo incontro. Ricordo il cordiale entusiasmo dei tanti presenti. Rivedo anche quanti guardavano dall’altro lato della strada e che furono coinvolti nel saluto.
Mi accompagnarono monsignor Carlo Castelli, vicario generale, con il quale avevo un rapporto di devozione e che mi è stato guida spirituale per molti anni.
C’era mio fratello don Virgilio che ormai da più di due anni è nella pace del Signore. E, quasi a presagio di future scelte, c’erano molti amici del mondo scout.
Due giorni dopo era domenica e ci trovammo alla Messa che si celebrava ancora tutta in lingua latina. E l’Altare era appoggiato alla parere, così che si celebrava con le spalle al popolo.
Intanto avanzavano i giorni del Concilio. I primi accenni di riforma liturgica si facevano strada. Così, ci preoccupammo di cambiare posizione all’Altare in modo da celebrare guardando in faccia l’Assemblea. Recitavamo insieme alcune parti cella Messa. Vennero i giorni della lingua italiana nella celebrazione liturgica. Fu un grande evento che permise di rendere più comprensivo il mistero che si celebrava.
E, subito, il canto.
Il canto è stato, per così dire, la forza della della nostra attività liturgica e una viva caratteristica della nostra Comunità. L’ideale era “cantare tutti”, “cantare bene”, “cantare in ogni celebrazione”. Mi è caro definire il canto “cavallo vincente” per costruire una comunità.
Nella mia famiglia si cantava tanto tutti insieme!
Fu un vero vivaio di canti. A livello di adulti, forse, non tutti erano d’accordo, non tutti approvavano e apprezzavano. Oggi la nostra Comunità prega con il canto ad ogni celebrazione, e lo fa con gioia, e tutti ne sono coinvolti, La scelta di avere un gruppo trainante e far cantare tutta l’Assemblea è stata molto importante, nello spirito autentico della liturgia. Proprio in questi giorni lo hanno ripetuto alla Settimana liturgica nazionale a San Giovanni Rotondo.
Come dimenticare poi gli strumenti musicali? L’harmonium, il primo organo elettrico, quello attuale, le chitarre. i violini, l’arpa…
Eravamo poveri. Ma quella piccola chiesa con quel poco spazio davanti furono per noi una grande ricchezza. E cominciammo a conoscerci, a volerci bene.
Subito in quel mese di luglio i primi funerali, il primo battesimo. I due momenti determinanti della vita di un cristiano.
Imparammo a condividere gioie e dolori.
E arrivavano i ragazzi. le ragazze. Taluni, forse, solo a curiosare. Ma subito furono coinvolti nella prima entusiasmante “festa dei ragazzi”.
Quasi in un grande quadro passano le figure delle Persone, piccoli e grandi, giovani e anziani. Che avventura! che dono del Signore!
Forse non ci siamo riusciti pienamente. Ma la cosa più bella del nostro cammino è di avere capito che l’essenziale è “volerci bene”.
Come non dire grazie al Signore per i tanti Suoi benefici?